03 dicembre, 2007

La comunicazione perversa


Non c'è mai comunicazione diretta perchè "non si discute con le cose". Quando si pone una domanda, i perversi eludono. Dato che non parlano, si attribuisce loro importanza o sapere. Si entra in un mondo in cui c'è poca comunicazione verbale, giusto qualche osservazione in forma di stoccatine destabilizzanti. Non si parla di niente, tutto è sottinteso. Basta un'alzata di spalle, un sospiro. La vittima cerca di capire: "Che cosa gli ho fatto? Che cos'ha da rimproverarmi?".

Dato che non si dice niente si può rinfacciare tutto. La negazione del rimprovero o del conflitto da parte dell'aggressore paralizza la vittima, che non può difendersi.

L'aggressione viene perpetrata rifiutando di parlare di quello che succede, di discutere, di trovare insieme delle soluzioni. Se si trattasse di un conflitto aperto, sarebbe possibile dibattere e si potrebbe trovare una via d'uscita. Ma nel registro della comunicazione perversa bisogna prima di tutto impedire all'altro di pensare, di capire, di reagire.

Sottrarsi al dialogo è un modo ingegnoso per aggravare il conflitto, mentre lo si imputa all'altro. Si nega alla vittima il diritto di essere ascoltata. Al perverso, che rifiuta di sentirla, non interessa la sua versione dei fatti. Rifiutare il dialogo è un modo per dire, senza esprimerlo direttamente a parole, che l'altro non interessa o addirittura che non esiste..

Di fronte al rifiuto della comunicazione verbale diretta non è raro che la vittima ricorra alle lettere. Scrive per chiedere spiegazioni del rifiuto che avverte; poi, non ricevendo risposta, scrive di nuovo e va alla ricerca di cosa, nel proprio comportamento, potrebbe aver giustificato un atteggiamento del genere. Può accadere che finisca con lo scusarsi di quello che ha potuto eventualmente fare, più o meno consciamente, per giustificare l'atteggiamento del suo aggressore.

Queste lettere, lasciate senza risposta, vengono a volte utilizzate dall'aggressore contro il suo bersaglio. E' così che, dopo una scena violenta in cui una vittima aveva rimproverato al marito la sua infedeltà e le sue bugie, la sua lettera di scuse è finita al commissariato, per violenza coniugale: "Guardate, riconosce la sua violenza"..

Quando una risposta c'è, è sempre marginale, indifferente. Può succedere che una lettera, carica di affettività e di emozione, di una donna a suo marito ("Dimmi che cosa c'è in me di così insopportabile per odiarmi al punto da avere in bocca solo disprezzo, insulti, ingiurie. Perchè mi parli in termini di rimprovero, di contestazione, senza disponibilità, a monologhi...") si attiri una rispota formale, completamente priva di affetto: "Ti spiego. I fatti non sussistono. Tutto è contestabile. Non ci sono riferimenti nè verità evidenti..".

La non comunicazione si ritrova a tutti i livelli espressivi. Di fronte al suo bersaglio, l'aggressore è teso, il suo corpo è rigido, lo sguardo sfuggente..

M.F. Hirigoyen, Molestie morali

1 commento:

  1. io dopo mesi e mesi di litigi , incomprensioni e offese dirette,ho scritto una lettera a mio marito lunga 6 pagine che mi ha impegnato per diversi giorni ,nella quale ho cercato di spiegare i motivi del mio attuale distacco affettivo da lui ,ma lui gli ha dato poca importanza...... e continua in me la ricerca di una soluzione che non trovo.

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